Attenzione, coinvolgimento, interesse, partecipazione e sensibilità. Ecco cinque termini che bene riassumono le intenzioni di un podcast che si propone di dare voce a chi, per un motivo o per un altro, è lasciato in silenzio, ai margini della società. Ed è proprio così che si chiama il podcast: Ai Margini – Dove nessuno guarda.
Categoria: Notizie
La rivoluzione della Pace: come Rimini può trasformare il mondo, un gesto alla volta
Cari riminesi, immaginate una città dove ogni gesto, ogni sorriso, ogni stretta di mano costruisce la pace. Non è un sogno: è la Rimini che possiamo creare insieme, oggi.
In un mondo lacerato da conflitti e divisioni, noi della Caritas diocesana di Rimini vi invitiamo a riflettere sul vero significato della Pace e sul nostro ruolo nel costruirla. Non possiamo più permetterci il lusso dell’indifferenza o dell’inazione. È giunto il momento di agire, di essere artigiani di Pace nelle nostre case, nelle nostre strade, nella nostra città.
Troppo spesso, vediamo la Pace come un concetto astratto, lontano dalla nostra quotidianità. Ma la verità è che la Pace inizia da noi, dalle nostre azioni quotidiane, dalle nostre scelte. Quando ci dividiamo, anche in nome di nobili ideali, alimentiamo il conflitto. La vera sfida è unirci, nonostante le differenze.
Immaginiamo Rimini come un cantiere di Pace. Cosa significa concretamente?
1. Abbattere i muri dell’indifferenza: Guardiamoci intorno. Chi sono i nostri vicini che soffrono in silenzio? L’anziano solo, la famiglia immigrata, il giovane disoccupato. Abbattiamo i muri che ci separano da loro.
2. Costruire ponti di comprensione: Organizziamo incontri interculturali, dialoghi interreligiosi, scambi generazionali. La Pace si nutre di conoscenza reciproca.
3. Trasformare le “macerie” in opportunità: Le nostre differenze, i nostri conflitti passati, possono diventare il terreno fertile per una nuova comprensione. Condividiamo le nostre storie, ascoltiamoci con empatia.
4. Educare alla Pace: Nelle scuole, nelle parrocchie, nei centri di aggregazione, promuoviamo programmi di educazione alla non-violenza, alla gestione costruttiva dei conflitti.
5. Agire per la giustizia: La Pace duratura si basa sull’equità. Impegniamoci in progetti concreti per combattere la povertà, l’esclusione sociale, le disuguaglianze nella nostra città. Pensiamo al progetto ‘Pasti Condivisi’ che abbiamo lanciato qualche mese fa: grazie a voi, abbiamo già servito 500 pasti a famiglie in difficoltà, creando momenti di vera condivisione e comprensione.
Non lasciamo che questa sia solo un’altra riflessione teorica.
Vi lanciamo una sfida: questa settimana, compite non uno, ma tre gesti concreti di Pace. Fatecelo sapere attraverso i social media con l’hashtag #RiminiPerLaPace o scrivendoci direttamente. Pubblicheremo le vostre storie, creando una catena di Pace che ispirerà l’intera comunità.
Ricordate: la Pace non è un traguardo distante, ma un cammino che facciamo insieme, passo dopo passo. È nelle nostre mani, nelle nostre parole, nei nostri cuori.
Rimini può diventare un faro di speranza, un esempio di comunità che vive la Pace concretamente. Ma questo futuro è possibile solo se lo costruiamo insieme, con pazienza, umiltà e determinazione.
Unitevi a noi in questa missione. Insieme, possiamo fare la differenza. Insieme, possiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.
Immaginate migliaia di mani che si tendono l’una verso l’altra, creando una rete di solidarietà che avvolge tutta Rimini. Questa è la rivoluzione della Pace che possiamo iniziare oggi. Siete pronti a farne parte?
La Pace non è un’utopia. È una scelta quotidiana. Scegliamola insieme, oggi e ogni giorno.
Enelda – Il Servizio Civile mi ha cambiata!
Enelda ha 22 anni, e l’anno scorso ha scelto di fare Servizio Civile in Caritas. Le abbiamo fatto qualche domanda.
Perché un giovane dovrebbe decidere di fare servizio civile in Caritas?
“Perché si entra in contatto con una realtà che a parer mio è sconosciuta. Oggi conta solo quanto denaro hai, quanto ne puoi spendere e viene meno l’essenza dell’essere umano.
Non abbiamo idea di quello che succede intorno a noi, alle persone comuni. Pensiamo che i poveri siano solo quelli senza soldi, quelli che, se li incontri per strada, li riconosci perché magari sono vestiti male. La povertà è molto altro: è solitudine, è carenza di affetti, è emarginazione. Il Servizio Civile in Caritas mi ha permesso di vedere queste realtà e di comprendere come non siano lontane da noi. Purtroppo credo che i giovani non si avvicinino alla Caritas per un pregiudizio: fa parte della Chiesa e quindi sarà un posto di preghiera, rigido, in cui devi per forza essere credente. La Caritas, invece, è un posto che accoglie tutti e lascia ad ognuno la libertà di essere credente oppure no, di avere un’altra fede o altre idee. È un posto con tantissimi progetti e servizi, non è solo mensa o distribuzione di vestiti e ognuno può trovare il suo spazio”.
Enelda tu fai l’università, si può studiare e fare servizio civile?
“Si può. Sono iscritta al terzo anno di Educatore Sociale e Culturale. Oltre ad essere un ambito estremamente attinente ai miei studi, a differenza di un lavoro, mi ha permesso una buona flessibilità di orario e poi il giorno dell’esame è riconosciuto come permesso straordinario”.
Nel mio progetto mi sono occupata di persone che prima non avevano una casa, ma ora condividono un’abitazione con altri. Il Centro d’ascolto, dove avviene il primo incontro con gli utenti, mi ha permesso di rendermi conto che le persone vanno considerate in quanto tali. Non sono numeri, non hanno bisogno di buoni pasto, di vestiti, sono esseri umani che hanno bisogno di raccontarsi, di essere riconosciuti.
Come dicevo prima, la povertà non è solo mancanza di soldi, è molto spesso solitudine. Il progetto del Giro Nonni vuole contrastare la solitudine di queste persone. Al mattino si va a casa loro per la consegna del pasto, questa è anche l’occasione per scambiare due chiacchiere e prendere nota di eventuali esigenze. Il pomeriggio poi si va a casa delle persone per far loro un po’ di compagnia”.
“Mi porterò sempre nel cuore un episodio semplice, ma che mi ha toccata profondamente. Eravamo vicino al Natale e una signora che seguivamo, non una signora molto espansiva e di certo non facile, mi ha fatto capire che il mio servizio, che io pensavo marginale, di routine, invece per lei era molto importante. Eravamo diventati per lei delle persone di riferimento, degli amici. Un altro episodio che posso raccontare è avvenuto durante un ascolto. Un signore mi ha raccontato la sua vita e mi ha colpito perché, per una scelta sbagliata, una scelta sbagliata che chiunque potrebbe fare, la sua vita ha preso poi una piega negativa. Quando rimani solo rischi poi di non riuscire a riprendere il cammino e hai bisogno di qualcuno che ti si faccia prossimo. L’ho sentito molto vicino a me e spero lui abbia sentito noi vicini”.
Il servizio civile ti ha aiutata a capire meglio che cosa vuoi fare nella vita? “Decisamente. Mi ha fatto capire che, volendo fare io l’educatrice, non dovrò permettere che le realtà che ho incontrato siano invisibili. Mi piacerebbe andare nelle scuole e raccontarlo ai giovani. Ho poi capito che c’è tantissimo da fare e che dovrebbero essere anche i giovani a darsi da fare. In tanti stanno magari a casa senza far niente aspettando che qualcosa gli piova dal cielo, quando invece ci sarebbe un’opportunità come quella del servizio civile”.
Tu lo hai fatto con altri ragazzi, è stato positivo?
“È stato molto positivo, perché non avevo tutto sulle mie spalle, condividevo il per- corso. È stato un mettersi in discussione continuo, un lavoro di squadra, c’era un continuo confronto con persone anche molto diverse tra loro. Idee diverse, motivazioni diverse e modi diversi di vivere le cose. Ti mette molto in gioco come esperienza e ti da delle basi per affrontare il lavoro futuro”.
Bando volontari Servizio Civile Universale 2022
Il bando è rivolto ai giovani italiani e stranieri in età compresa tra i 18 ed i 29 anni (non compiuti), la scadenza per le domande da parte dei giovani è prevista per venerdì 10 febbraio 2023 alle ore 14.00.
La Caritas Diocesana di Rimini è presente nel bando con 2 progetti per un totale di 10 posti. Tutti i progetti proposti dalla Caritas Diocesana hanno una durata di 12 mesi.
A questo link trovi le schede sintetiche dei nostri progetti.
Per maggiori informazioni contattare Paola Bonadonna, responsabile del Servizio Civile, al numero 3497811901, oppure scrivendo a paola.bonadonna@caritas.rimini.it
Tutte le informazioni sul Bando sono disponibili sul sito https://scelgoilserviziocivile.gov.it/
Gli aspiranti operatori volontari devono presentare la domanda di partecipazione esclusivamente attraverso la piattaforma Domanda on Line (DOL) raggiungibile tramite PC, tablet e smartphone all’indirizzo https://domandaonline.serviziocivile.it
Attenzione: Le domande trasmesse con modalità diverse da quella indicata non saranno prese in considerazione. Non si possono presentare domande per posta, via e-mail, via fax o a mano.
È possibile presentare una sola domanda di partecipazione per un unico progetto ed un’unica sede, da scegliere tra i progetti elencati negli allegati al presente bando e riportati nella piattaforma DOL.
Si rammenta ai giovani interessati che prima di fare domanda è consigliato informarsi sulle caratteristiche dei progetti. Per meglio orientarsi nella scelta del progetto è opportuno contattare gli enti di servizio civile sui territori e chiedere direttamente informazioni ai referenti dei progetti.
Se sei interessato ai nostri progetti, ti consigliamo di contattarci al più presto senza aspettare la fine del bando, così potrai visitare le diverse sedi di progetto e scegliere quella che ti interessa di più.
Fate i buoni. Fate la Caritas!
Quest’anno a Natale sostieni Caritas Rimini. Abbiamo bisogno del tuo aiuto!
Vuoi diventare volontario?
Chiama il 3914762566, oppure visita la pagina dedicata.
Vuoi sostenerci economicamente? Fai una donazione:
Caritas ODV – IBAN IT21T0623024206000043130436
Vogliamo augurarti Buon Natale raccontandoti qualcosa di noi e per farlo abbiamo scelto 3 progetti, dei tanti che portiamo avanti. Ci piace raccontarci, cerchiamo di farlo bene per narrare non solo i drammi e le fatiche della nostra società, ma anche il bene possibile e l’umanità che troviamo nella relazione con le persone che si rivolgono a noi.
Volontari, operatori, persone ai margini: ognuno ha una storia da raccontare.
I volontari dell’unità di strada si ritrovano in Caritas, ogni lunedì sera alle 21, per partire alla volta delle strade più buie e fredde di Rimini. Un progetto ormai consolidato, finalizzato sia all’offerta di interventi a bassa soglia e di primo intervento, sia al monitoraggio delle persone senza dimora presenti sul territorio e alla mappatura dei luoghi del disagio, ma, soprattutto, l’occasione per andare ad incontrare amici che hanno per tetto le stelle. L’impegno è quello di portare nelle strade riminesi conforto e sostegno ai senza dimora offrendo pasti, the caldo, biscotti, oppure coperte e sacchi a pelo, oltre a calore, sorrisi ed umanità.
Grazie al “Giro Nonni” ogni giorno più di 60 anziani, sparsi sul territorio di Rimini, ricevono non solo un pasto caldo completo, ma anche uno sguardo, una parola e la compagnia di un volontario che, purtroppo, spesso è l’unica persona che incontrano durante la giornata. Il Giro Nonni è attivo 365 giorni l’anno, i nostri volontari non conoscono feriali o festivi, né bello o cattivo tempo, l’importante è fare arrivare il pasto caldo condito con un sorriso.
Ogni giorno cinque vetture partono per portare il pasto ai nonni. Il servizio è interamente gestito da volontari, coordinati da un operatore e da una suora Figlia della Carità. L’operatore si interfaccia con gli assistenti sociali dei singoli anziani per rimanere aggiornato e aggiornare su ogni singola situazione. Il Giro Nonni inizia tutte le mattine alle 9.30 con il porzionamento dei pasti e termina circa alle ore 13.00, dopo le visite e la pulizia del materiale utilizzato.
Pierangelo è una persona di quelle che ti tirano su il morale con quattro parole. Che hanno inciampato, ma con la voglia di fare una capriola e ritrovarsi in piedi. “Sono venuto qui oggi per raccontarvi di me, non lo avrei fatto se non fossi affezionato a questo posto, alle persone che ritrovo ogni volta che passo”, racconta.
L’Emporio di Rimini è un luogo d’incontro, di scambio, di pianti ma, soprattutto, di sorrisi. “Non è ricevere il solito pacco alimentare, si viene accolti in maniera calda e si incontra chi ha voglia di ascoltarti” continua Pierangelo.
Ogni anno vengono consegnati più di 1.500 kg di prodotti alimentari, per un totale di 13.500 pacchi viveri a 777 persone (2021), delle quali il 62% di nazionalità italiana. Questo lavoro è possibile grazie ai 25 volontari che supportano l’operatrice nell’attività quotidiana, ma anche ai tanti donatori, piccoli o grandi poco importa, che destinano risorse o beni al progetto.
Bilancio Sociale 2022
Lunedì 17 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale della Povertà voluta dall’ONU, è stato presentato il primo Bilancio Sociale di Caritas Rimini.
Di seguito il Bilancio Sociale completo in PDF e le Slides, oltre a due video realizzati per l’occasione.
Testa Clà
TESTA CLÀ – Ci vuole una grande testa….contro lo spreco alimentare!
“Abbiamo lavorato anche sul piano dell’educazione al cibo. Ognuno ha messo le proprie competenze aumentando i benefici” racconta Antonella Mancuso, referente del progetto Testa Clà, conclusosi lo scorso 30 giugno, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna e nato con lo scopo di promuovere attività solidaristiche per contrastare lo spreco e il recupero alimentare.
La rete progettuale ha visto lavorare insieme sette Associazioni operanti sui 3 Distretti Socio-sanitari (Rubicone, Rimini e Riccione):
Associazione Caritas San Pio V ODV, l’Associazione Madonna del Mare ODV, Caritas Rimini ODV, l’Associazione Teambota ODV, l’Ass. Amici di Don Baronio, la Confraternita di Misericordia di Valconca ODV, Homo Viator Aps.
“Accanto al potenziamento della produzione dei pasti all’interno delle mense presenti sui 3 Comuni (Rimini, Riccione e Cattolica) e all’ampliamento dell’apertura del refettorio Solidale del Rubicone da 1 a 4 giorni alla settimana”, spiega Antonella Mancuso che ha coordinato il progetto per conto del Capofila Caritas Rimini, “gli obiettivi del progetto hanno riguardato soprattutto l’area del recupero alimentare e dell’educazione alimentare”. Tutte le associazioni hanno lavorato sia per consolidare la rete informale di aziende già esistente che dona alimenti sia per sensibilizzarne di nuove e i prodotti donati sono stati utilizzati per incrementare il servizio delle mense e i pacchi viveri.”
La raccolta settimanale dei prodotti è stata gestita dai volontari che, coordinati dal responsabile di logistica, è stata poi consegnata entro 24/48 ore al beneficiario finale. È stata anche promossa una mirata campagna di sensibilizzazione alla buona e corretta alimentazione, sostenuta dalla diestista Vittoria Salvatori che ha collaborato con la rete progettuale: attraverso i social sono state diffuse le varie categorie di alimenti, presentate mese per mese e accompagnate da grafica coordinata e uniforme. La nutrizionista è rimasta a disposizione qualora fossero arrivate, presso i Centri d’Ascolto, persone con particolari situazioni che necessitassero di accompagnamento e sostegno “per una corretta alimentazione.
All’interno della rete, l’Ass. Homo Viator si è impegnata nella comunicazione e nella sensibilizzazione alla lotta contro lo spreco alimentare nel territorio del Rubicone, attraverso visite alle aziende ed attività del territorio che lavorano nel settore alimentare.
In particolare, i volontari dell’associazione hanno cercato di rendere partecipe queste realtà alle richieste che provenivano delle caritas di zona, per poter far fronte alla creazione dei pacchi viveri per le persone che si rivolgono costantemente ai centri di ascolto delle Caritas. Così panifici, diversi bar e il mercato della frutta del territorio hanno donato le eccedenze sia per la mensa sia per i pacchi contenenti derrate alimentari che vengono consegnati agli utenti caritas 1 volta al mese.
La campagna di sensibilizzazione si è rivolta anche ai ristoranti che hanno promosso iniziative a favore della mensa, come quella del “pasto sospeso”. Inoltre, rivolgendosi alla GDO, sono riusciti ad avere un contatto con “Iper La grande I” di Savignano sul Rubicone, per il recupero dell’ortofrutta 2 volte a settimana. In Valconca, i volontari della Confraternita di Misericordia si sono occupati di distribuire pasti e pacchi viveri alle famiglie del territorio che ne hanno fatto richiesta, anche attraverso gli sportelli sociali distrettuali.
3647 beneficiari totali delle azioni progettuali sopra descritte, 119.956 pasti erogati e 2905 pacchi viveri distribuiti!
Continua Antonella: “Lavorare in rete, dove ognuno mette in campo le proprie competenze e le proprie forze, ha notevolmente aumentato i benefici derivanti dalle azioni progettuali, aiutando anche le aziende ad azzerare le eccedenze. Il suricato, piccolo animale che ha animato la grafica del nostro progetto, ha davvero una testa ampia, degli occhi grandi e un muso appuntito: niente gli sfugge ed è un animale molto socievole…e noi? Che utilizzo scegliamo di fare della nostra testa, di fronte a questa tematica così importante?
Tanto altro ancora si può fare, con azioni che partono dal nostro quotidiano.
Celle Aperte – Testimonianze dal Carcere
Mercoledì 10 agosto le sezioni ordinarie del carcere di Rimini hanno aperto le porte a nuovi ospiti esterni.
Eccezionalmente, grazie al Direttore d’Istituto Maria Martone e al supporto dell’Area Educativa, del corpo di Polizia Penitenziaria e del Cappellano d’Istituto Don Nevio, è stato possibile per una ventina di volontari da tempo impegnati all’interno della Casa Circondariale accedere alle celle e trascorrere una mattinata assieme ai detenuti.
Una giornata cui ci si preparava da tempo: un momento delicato ed emozionante, che ha visto il lavoro sinergico e la collaborazione di tutti: detenuti, operatori e volontari delle tante realtà di espressione diocesana che animano la casa circondariale e gli operatori del Terzo settore.
Abbiamo chiesto ad alcuni volontari di raccontarci la loro esperienza: Michela, Ilaria, Paola e Chiara hanno accettato l’invito, di seguito le loro testimonianze.
Le testimonianze
Michela de Lisa
Quando è arrivato il momento di andar via, a fine giornata, ho provato una sensazione strana… mentre riprendevo il mio cellulare dall’armadietto dopo diverse ore, qualcuno esclamava: «Mi sembra di essere stato qui un mese!». Ritornare nel mondo ‘reale’, quello al di là della pesante porta color verde bosco, mi stava costando un po’ di fatica.
La giornata era volata via in tutta fretta ma, frattanto, il tempo si era come fermato.
Un po’ come succede, in fondo, a chi al di qua della pesante porta verde bosco ci abita. Il fuori e il dentro, con il loro scorrere del tempo cosi disallineato e i loro mezzi cosi dissonanti, si incontravano su quell’uscio. Un po’, pensavo, come deve succedere a chi, presto o tardi, smette di abitare quelle mura. Ed io, dal mio canto, ero come rimasta incastrata li: occhi negli occhi e orecchie nei cuori. Ho capito che, in quelle ore, in quelle mura che in parte alcuni di noi conoscono così bene, i nostri due scenari speculari si erano mescolati. Il mondo esterno con le sue remore o quello interno con le sue contraddizioni, seduti alla stessa tavola. Curiosità che diventa conoscenza e timore che si trasforma in consapevolezza. Avevo gli occhi pieni di sguardi, le orecchie piene di storie e il cuore pieno di accoglienza (e lo stomaco pieno di piattoni deliziosi). E li, sulla soglia del mondo esterno, io provavo un po’ di nostalgia. Fermavo tra i ricordi istantanee vivide di momenti intensi e preziosi come quando si ripone in libreria un libro concluso che ti ha tirato un pezzetto di cuore e da cui ormai è tempo di separarsi. Tornata a casa, ripensavo a due delle frasi che mi hanno colpito di più tra le tante donate da chi ci aveva accolto nella propria dimensione. Erano più o meno così: «oggi è stato come non essere in carcere» e «se ci fossero più giornate come questa, sarebbe tutto in discesa qui». E mentre mi ripetevo le parole ascoltate mi accorgevo di quanto fossero incredibilmente affini a ciò che provavo io stessa, ospite per un giorno di un mondo altro che vive all’ombra di tutti noi, abitato da un loro che si contrappone a un noi. Perché, in fondo, sono giornate come quella vissuta il 10 agosto a liberarci. È la conoscenza ad affrancarci dalle sbarre del pregiudizio, è la consapevolezza a spezzare le catene della paura; sono la condivisione, il dialogo e la mutua comprensione ad unirci e a guarirci dalla sfiducia e dal risentimento che ci imprigionano. Per questo, auguro a tanti di poter vivere esperienze di questo tipo. E provo una immensa gratitudine nei confronti di chi, dall’esterno e dall’interno della Casa Circondariale di Rimini, ha reso possibile vivere Celle Aperte. Qualcuno mi ha chiesto cosa avessi provato nel visitare il carcere, riferendosi alla sua parte di solito invisibile e nascosta anche a chi, come me, ne visita spesso tutto il resto. Insomma, che impressione ho avuto nel visitare e abitare per qualche ora le celle. La verità è che le celle, i corridoi, le sbarre e tutte quelle cose ‘segrete’ che di solito animano la nostra curiosità quel giorno, per me, sono rapidamente passate in secondo piano. Certo, è di sacrosanta importanza osservare e avere contezza di ciò che di solito idealizziamo, condanniamo o su cui fantastichiamo.
Però io, quel giorno, ho posato lo sguardo su chi il carcere lo abita e lo vive.
Nella sua quotidianità perfettamente scandita, tra le storie, le lingue, i bisogni, le paure, i desideri, la solidarietà. Stretti attorno agli stessi tavolini a guardarci e poi vederci, riconoscerci e poi conoscerci, ci siamo sentiti tutti un po’ a casa.
L’accoglienza e la grande ospitalità che tutti noi abbiamo ricevuto in dono quel giorno ci hanno emozionato e permesso di sentirci a nostro agio, e oggi mi comunicano due cose molto importanti: la gratitudine verso chi si spende per donare accoglienza e disinnescare la pericolosità degli stigmi e, cosa (forse) più importante, la fame di riscatto e riconoscimento. Poiché chi abita giorno e notte i piccoli spazi blindati di cui siamo stati ospiti non è né una vittima da accudire né un “caso perso” da sopprimere. Abbiamo la responsabilità e la scelta, in quanto esseri umani prima ancora che cittadini portatori di diritti, di accogliere la richiesta di riconoscimento, dignità e rispetto di chi “paga il suo debito con la giustizia”. Fermiamoci a guardare, per un istante, negli occhi dell’altro scomodo: intravedremo noi stessi.
Chiara Fabbri
Da circa un mese sono una volontaria nella Casa Circondariale di Rimini e il 10 agosto ho preso parte a una giornata con i detenuti della Quinta Sezione – Braccio Corto, che detta cosi fa quasi sorridere. Non chiedetemi di raccontarvi cos’è stato salire quelle scale, oltrepassare quei cancelli, sentire voci, incontrare vite e incrociare sguardi. Credevo di non averne il coraggio. Non vi racconto l’odore, il calore, il cibo, le sbarre, le finestre schermate. Il peso di vite come tante, eppure così diverse: tanti corpi, troppe ossa, troppi umori. Cellule che si aggregano in universi di solitudine. I giorni – tanti giorni – sempre uguali. Non vi racconto i sorrisi bucati dal tempo, le parti fragili, i dubbi, il cercare di sopravvivere alle proprie crepe. Le aspettative infrante, i vuoti senza risposte, il tirare avanti nonostante i pesi che salgono e l’umore che scende.
È una strana materia quella di cui è composta il carcere: c’è un prima, un dopo, e c’è un dentro che dovrebbe preparare al fuori.
Come un bambino che si prepara a nascere o magari a rinascere. Come sono rinata io una volta uscita – dopo un solo giorno -, per tutto lo spazio che ho cercato di farmi entrare dentro, oltrepassato l’ultimo cancello che al mattino era stato il primo. Non posso nemmeno immaginare la sete di aria, luce e vita che può avere una persona quando esce dopo anni. Non chiedetemi se queste parole hanno un senso o raccontano una storia. Quando raccolgo parole dalle pieghe di un’esperienza spero solo che tutto si senta e riviva. Non sono brava a raccontare, ma posso dire che entrare in un carcere – un carcere di celle e di sbarre – lascia i lividi. Inciampi nella vita di qualcuno e ti rimane il segno.
Vorrei irrigare di sensatezza i pensieri e lasciar parlare la pelle per dirvi che ho ascoltato, accolto e ringraziato, ho contemplato, condiviso, mi sono lasciata attraversare…ho riso, vibrato e lasciato andare… sono rimasta in silenzio, senza finzioni. Mi sono sentita e mi sono commossa. Mi è piaciuto.
E sapevo che era bene cosi. In un luogo dove l’anima rimane a guardare, l’attenzione è l’unica preghiera che ho saputo recitare. Ad una principiante della preghiera come me, l’unica cosa che interessa è permettere al cuore di contemplare. E imparare davvero ad accogliere il bene.
Forse è questo ciò che intendo per fede: quella che rinnoviamo anche nella cattiva sorte, che ci tiene legati ai luoghi; quella sensazione forte di appartenenza che ci fa tornare a dire “qui” anche quando il buonsenso chiamerebbe altrove. Se fosse qualcuno dei ragazzi dentro a chiedermi, ora, com’è andata, prenderei in prestito parole lette non ricordo dove: “Siamo friabili e pervasi di grazia”. Di quella grazia dignitosa che appartiene a tutti nei momenti di reale sofferenza, quando la vita confonde la disperazione e la speranza. Perché mentre camminavo per le Celle Aperte di quei corridoi, che sanno di abisso e cibo stracotto, mi sono resa conto che quel posto può essere la casa di tutti: degli inquieti, degli scappati, di chi sa pregare e di chi sta imparando a farlo. E quindi è anche casa mia.
Ilaria Cicchetti
Entrare in carcere significa atterrare su un altro pianeta, con regole diverse, abitudini diverse, volti e voci diverse da quelle a cui siamo abituati. Perfino l’aria e il tempo hanno un diverso peso e una diversa scansione qui. Ho l’impressione che per comprendere a pieno il posto in cui mi trovo io debba imparare una nuova lingua: si parla di bracci, di sezioni, di celle, di domandina, di autorizzazioni, di burocrazia, di aria…
Il rumore metallico delle chiavi si lascia dietro l’eco di voci in lontananza, che risuonano e si rimescolano nel grande corridoio della sezione 1.
I detenuti escono dalle loro celle incuriositi. Ho cercato di tenere a mente quanto ci è stato detto un minuto prima: qui dentro siamo ospiti. Provare a pensare di essere a casa di qualcun altro è utile. Prima di entrare in una cella si chiede il permesso; prima di dare del tu ad una persona più anziana si chiede il consenso; prima di porre domande intime si deve raggiungere un rapporto confidenziale. Sono queste attenzioni a dare ordinarietà ad una situazione che esula dall’ordinario, a restituire ad un detenuto la dignità che a volte dimentica di possedere. Sono queste piccole forme di rispetto che fanno dei ragazzi della cella 3 e di me persone più vicine di quello che potrebbe sembrare. Atmosfera di festa; a volte ho come l’impressione di ritornare al refettorio dove pranzavo alle elementari, caotico e pieno di gioia. Ci sediamo a tavola e la premura che i detenuti hanno nei nostri confronti è impressionante. C’è una grande lezione dietro ad una tavola apparecchiata a dovere nonostante il legno rotto della gamba; dietro all’assicurare i pochi sgabelli ai propri visitatori; dietro alla condivisione della propria vita con un estraneo. Sono riuscita a captare due odori dominanti durante la giornata: tabacco e sapone. Questi due profumi mi dicono qualcosa: che qua dentro occorrono distrazioni, e che ricevere visite può spingere alla cura di sé e del proprio ambiente. Non credo si racconti abbastanza quanto sia importante mettere in dialogo il mondo del carcere con quello esterno. Non c’è stato un attimo in cui io mi sia ricordata di avere più di quattro porte chiuse a chiave alle spalle. Io sono consapevole che un detenuto che vive da anni in reclusione ricordi a se stesso più volte di quelle porte. Sono consapevole del dolore profondo che un uomo possa sperimentare quando vede che la sua vita precipita dentro queste mura. Tuttavia non abbandono l’idea per cui le relazioni possano costruire ponti, e se anche per un solo istante fossimo riusciti a fare dimenticare a chi il carcere lo vive ogni giorno di quelle quattro e passa porte di distanza dal mondo esterno, allora l’esperimento di Celle Aperte potrebbe dirsi riuscito. Potrebbe essersi creato qualcosa di grande, uno sguardo (seppur momentaneo) libero sulla propria vita, edificato attraverso l’incontro tra detenuti e volontari. Il regalo più grande che sia noi che loro possiamo portarci a casa.
Paola Eletta Galasso
Un San Lorenzo speciale il mio 10 agosto 2022. Lo ricorderò sempre: atteso con trepidazione. Saremmo entrati nelle “case” dei nostri amici detenuti. Alcuni già da noi conosciuti, perché partecipanti ai nostri incontri di lettura “dentro le pagine” o al cineforum “Cinema d’evasione”, altri, volti nuovi.
L’incontro “fuori” con gli altri volontari è fissato per le 8.45 e poi “dentro” per iniziare la nostra giornata speciale. Dopo i corridoi già conosciuti, saliamo le scale ed entriamo nella sezione. E subito ci accoglie un ospite inappuntabile che ci introduce alle criticità della sezione (purtroppo proprio in quelle ore testimone di un episodio molto triste) e ci conduce nelle celle cercando di farci “scivolare” oltre le situazioni difficili. Un ottimo padrone di casa che ci tiene comunque a fare una bella figura con i suoi invitati. E così entriamo in una cella che scoprirò ospitare un detenuto dalla immensa cultura. Originario di uno stato della ex-Jugoslavia ci ha subito fatto vedere i suoi numerosissimi quaderni pieni di riflessioni, nozioni, appunti di geografia, di storia: fogli pieni di una bellissima calligrafia, pieni di vita, di sapere. E così a seguire, si avvicendano volti curiosi di conoscere questa novità nella loro altrimenti immobile giornata. Tanti volti, tante Persone, tanti uomini; ci sediamo tutti insieme nel corridoio e ci raccontiamo e si raccontano…come essersi sempre conosciuti. Non manca il “momento caffè”: un caffè speciale con la “schiumetta e la scorza di limone”. Eccezionale! Quanti racconti, quanta dignità, mai un piangersi addosso. E poi è il momento del pranzo che consumiamo nella cella che ci ospita: un pranzo che si trasforma in un momento di condivisione di desideri, sogni, consigli di luoghi da visitare nelle proprie terre di origine, racconti di svariate esperienze lavorative. In breve, quasi dimentichi di essere in un carcere e diventa un pranzo tra vecchi amici.
E così, troppo velocemente, è passata la mattinata. Alle 13 scendiamo negli spazi comuni. Possiamo scegliere se restare nella cappella, adibita a “locale” dove suonare la chitarra e cantare qualsiasi tipo di canzone (il “karaoke” come è stato definito dai detenuti), o andare fuori, “all’aria”, nel campo di calcio dove si sta disputando una partita degna dei più bei film di Salvatores, o in un altro spazio dove fare due chiacchiere tranquille. C’era un gran movimento. È stato bellissimo vedere questi ragazzi vivere tutte le situazioni “offerte”. Io personalmente ho trascorso queste ore con uno di loro che ha voluto farmi da Cicerone e, contemporaneamente, mi ha raccontato il motivo per cui è lì. Un ragazzo dai modi signorili, grandissima educazione, grande cultura e voglia di “conoscenza”. Alle 15 i nostri amici salgono per una mezz’oretta nelle celle e noi volontari ci ritroviamo in chiesa per trasmetterci qualche riflessione. Ma poco dopo cominciano ad arrivare, numerosi, i detenuti e allora decidiamo di spostare tutte le panche per dare inizio ad un importantissimo momento di condivisione e comunione, tutti insieme, detenuti e volontari. Il titolo che vorrei dare a questo incontro è GRAZIE. Un grazie unanime da parte dei detenuti a noi per aver reso “diversa” e più viva la loro giornata e un grazie altrettanto collettivo da noi a loro per aver riempito il nostro cuore di emozioni. Bello sentir dire da molti di loro “Sarebbe da ripetere con più frequenza!”. Questa frase ha fatto crollare i nostri timori del giorno precedente.
Storie dalla Caritas – Il Carcere e Leonard
Leonard ha 27 anni, è nato in Albania ma è in Italia da quando ha 3 anni. Oggi lavora in una Cooperativa Sociale del territorio e si occupa del mantenimento del verde nel comune di Cattolica.
È entrato in carcere quando aveva 24 anni, ne è uscito 2 anni e mezzo dopo.
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Sperimentare l’autenticità, la fiducia e la vicinanza, essere capaci di costruire nel tempo delle relazioni che ci facciano sentire meglio con noi stessi e con gli altri.
Questa, forse, è una delle chiavi per vivere con maggiore gioia e pienezza la propria vita.
Per chi vive in carcere il tema delle relazioni acquista un significato ancora più forte e urgente.
La reclusione rappresenta spesso una condizione di isolamento e lontananza in un luogo che per lo più viene interpretato come spazio di contenimento e punizione.
L’incipit del nostro ordinamento penitenziario nell’art. 1 riporta: “Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi”. Si sottolinea quindi quanto la relazione con il mondo esterno rappresenti un aspetto indispensabile del trattamento, da proteggere e garantire anche durante la detenzione.
Sono diversi anni che Caritas Rimini Odv promuove – dentro e fuori il carcere – interventi e azioni volte al reinserimento sul territorio, all’inclusione, al coinvolgimento della comunità, affinché la reclusione sia una concreta occasione di riscatto e possibilità di ripartenza.
Un’impresa resa possibile grazie alla sinergia con l’Area Educativa penitenziaria, i servizi pubblici e con le altre voci della nostra città che si spendono da anni all’interno della Casa Circondariale promuovendo e rafforzando questa direzione, in particolare con il Centro per le Famiglie del Comune di Rimini, con l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, con la Cooperativa Sociale Cento Fiori e con l’associazione Dire Uomo.
Grazie inoltre al sostegno dei Piani di Zona, sono stati possibili numerosi interventi preventivi e riparativi che, attraverso il lavoro dei volontari e degli operatori, hanno inciso positivamente, sia all’interno del carcere che all’esterno: è fondamentale ricordare che ci sono famiglie che attendono un marito o un papà di ritorno.
Caritas Rimini ODV e Centro per le Famiglie del Comune di Rimini hanno inaugurato lo scorso anno un dialogo epistolare tra alcuni detenuti e una scuola primaria del territorio, il Centro Italo Svizzero, con cui vi era già stato un primo scambio nel 2020 attraverso i biglietti di auguri di Natale.
I temi affrontati quelli delle relazioni, dell’amicizia, del ruolo dell’adulto e il senso del crescere, riflessioni sul tema dell’uguaglianza e della stima di stima di sé.
I detenuti sapevano di scrivere ad una classe di quarta, i bambini e le bambine nel corso dell’anno (anzi degli anni) sono stati accompagnati a “raccogliere indizi” ed esercitare la curiosità e mettere in gioco il proprio pregiudizio, per scoprire chi mandava loro (in una scatola di latta con un fiocco rosso) dei bigliettini con riflessioni, spunti, idee…
In questo “dialogo a distanza” tramite cartelloni, disegni, lettere, i detenuti hanno riflettuto e offerto consigli, esperienze e ascolto alle bambine e ai bambini che si interrogavano sull’amicizia, la vera amicizia, i sentimenti, l’essere grandi. E’ stata un’esperienza ricca e di vero scambio che si è deciso di proseguire con la stessa classe -quest’anno in 5° (da poco ha superato l’esame finale).
Poi è arrivato il momento di conoscersi personalmente. Faccia a faccia.
Ma incontrare però un detenuto fuori dal carcere e – soprattutto – in una scuola elementare, non è un semplice affare. Era necessario fare una “richiesta di permesso premio”.
Una valutazione delicata che è maturata assieme a Leonard, il ragazzo all’epoca detenuto e all’amministrazione penitenziaria dopo mesi di osservazione trattamentale dove si sono stimate la costanza del giovane nel partecipare alle attività educative proposte, la motivazione, la perseveranza e la buona condotta della persona che, avendo maturato i requisiti che la legge prevede, era nella condizione giuridica di poter accedere a questo -comunque non facile- beneficio premiante.
Leonard ha 27 anni, è nato in Albania ma è in Italia da quando ha 3 anni. Oggi lavora in una Cooperativa Sociale del territorio e si occupa del mantenimento del verde nel comune di Cattolica.
È entrato in carcere quando aveva 24 anni, ne è uscito 2 anni e mezzo dopo.
Grazie alla preziosa e insostituibile collaborazione con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Rimini (U.E.P.E.), si è dato finalmente corpo al sogno di vivere una giornata speciale. Un’occasione di riflessione sul proprio percorso, sulla propria detenzione vissuta in modo catartico, in favore di un’assunzione di responsabilità. Agendo in modo disinteressato e per il bene comune.
La classe dal canto suo, accompagnata dagli insegnanti, ha lavorato sull’abbattimento del pregiudizio sul carcere e la stereotipizzazione del “detenuto”, uscendo dal dualismo buoni/cattivi.
Leonard ha conosciuto la Caritas attraverso il Caffè Corretto, un momento di confronto in carcere, nel quale i detenuti possono confrontarsi con volontari e operatori su alcune tematiche.
Un importante momento di scambio, relazione, amicizia… Ed è lì che è nata l’amicizia con Viola, e poi il percorso che lo ha portato a incontrare gli studenti.
“Quello che manca di più, in carcere, è la relazione con la famiglia, con gli amici. Non hai il cellulare, non puoi chiamare sempre, gli orari di visita sono sempre troppo pochi. Però ho incontrato persona in gamba, che mi hanno aiutato a cambiare” racconta Leonard.
Così è arrivato giorno stabilito per l’incontro in classe, in una calda mattinata di fine anno scolastico.
Una giornata coinvolgente, emozionante, dove ognuno ha saputo tirare fuori la propria parte migliore. Un momento profondo e semplice allo stesso modo, come sanno essere gli incontri con bambini e con le persone che hanno realmente riflettuto sul senso della vita e su cosa vale davvero.
Si è parlato in cerchio, riso, ascoltato, cantato, disegnato; si è pranzato insieme e condiviso il tempo e lo spazio dei giochi dell’intervallo lungo dopopranzo.
Gesti semplici, autentici, cose di cui tutti abbiamo bisogno per stare bene e crescere nel cammino della vita.
Si è trattato di un progetto ambizioso sotto molti aspetti, emotivi, pedagogici, umani e burocratici, che ha mostrato chiaramente come la collaborazione tra Istituzioni e Terzo Settore –professionisti e volontari- possa realizzare interventi innovativi e riparativi capaci di valorizzare i percorsi personali e le possibilità che la Comunità ed il Territorio offrono.
Ne è valsa la pena? È bastato vedere i sorrisi, gli sguardi, i giochi tra Leonard e i bambini, per darsi una risposta.
Storie dalla Caritas – I corridoi umanitari
Yacine ha appena finito l’esame di terza media. È andato bene, ma non perde tempo: ora lavora come aiuto-cuoco in un ristorante della riviera riminese. Parla italiano fluente, forse avvantaggiato che nel suo paese – la Repubblica Centroafricana – si parla francese. Ha una bandana in testa, un sorriso contagioso, ma all’inizio è timido nel raccontarsi.
“Sono scappato dal mio paese nel 2019, a causa della guerra. Sono arrivato in Niger e sono stato accolto in un campo per rifugiati. Eravamo in tanti, più di 500, di cui pochissimi dal mio paese. Sono scappato da solo, i miei genitori non ci sono più. È lì che ho conosciuto la possibilità dei Corridoi Umanitari. Ho fatto dei colloqui con Caritas Italiana, e sono arrivato a Rimini a fine giugno 2021”.
Yacine è nato nel 1999, ha 21 anni e fin dal suo arrivo ha dimostrato di volersi integrare qui.
“Non conoscevo l’Italia prima, non ho scelto dove andare. Volevo solo scappare. Quando mi hanno informato che sarei arrivato qui, ho cercato Rimini su Google, mi è subito piaciuta. Sto bene, forse studierò ancora. Vorrei specializzarmi, sono giovane”.
È nato a Carnot, un piccolo paese vicino al confine con il Camerun, ma a 10 anni si è spostato a Bangui, la capitale.
“Mio fratello ha 14 anni, ed è ancora lì. Lavoro per permettergli di vivere, ma vorrei portarlo qui con me”.
La Caritas di Rimini lo ha accolto alla Laudato Sii, in via Isotta degli Atti, dove c’è anche l’ufficio del settore Immigrazione della Caritas Diocesana. Gabriele, operatore, conferma che “Yacine è veramente in gamba. In tre mesi ha imparato la lingua. Gli auguro di trovare la propria strada”.
La cosa più difficile è creare una rete di amici, di attività, di relazioni. Yacine gioca a calcio e ogni tanto si ritrova con qualche amico per una partita. Ma come comunità riminese è importante essere sensibili a questo tema: anche solo un saluto può fare la differenza!
I Corridoi Umanitari nascono dalla collaborazione tra istituzioni – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e Ministero dell’Interno – e società civile – nello specifico Caritas Italiana, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese. Si tratta di un programma di trasferimento e integrazione in Italia rivolto principalmente a migranti in condizione di particolare vulnerabilità: donne sole con bambini, vittime del traffico di essere umani, anziani, persone con disabilità o con patologie.
Caritas Italiana si è occupata nel tempo dell’accoglienza dei beneficiari al loro arrivo in Italia, garantendo alloggio e assistenza economica per il periodo di tempo necessario all’espletamento dell’iter della richiesta di protezione internazionale.
Il progetto è stato commentato da Papa Francesco:
“Guardo con ammirazione all’iniziativa dei corridoi umanitari (…) sono la goccia che cambierà il mare”.
Ad oggi sono due i ragazzi accolti a Rimini attraverso i Corridoi Umanitari, centinaia invece in tutta Italia. “È un gesto di tanta umanità – dice il Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI – frutto di solidarietà della quale ringrazio tanto, ma è anche un appello forte alla responsabilità politica, culturale e sociale di tutti verso il cammino dei migranti”.
Proviamo ad esserci, vogliamo esserci. È questo lo spirito guida della Caritas: riempire la distanza sociale con l’umanità, curare la solitudine costruendo umanità.
Storie dalla Caritas – Fondo per il Lavoro
Avere cura di una persona, oltre le sue fragilità, è una vittoria di tutta la comunità. Il lavoro è sicuramente uno degli elementi principali che può ridare dignità all’individuo, che torna così a sentirsi membro attivo della Comunità e, al contempo, a potersi nuovamente immaginare in una prospettiva futura.
È per questo motivo che nel 2013 come Caritas Diocesana abbiamo deciso di attivare il Fondo per il Lavoro, con l’obiettivo di creare occupazione, attraverso incentivi economici, per l’avvio di nuove attività lavorative e/o mediante l’assunzione di persone disoccupate o inoccupate .
Dall’ inizio della nostra operatività ad oggi (31 maggio 2022) abbiamo preso in carico più di 900 richieste di iscrizione al Fondo per il Lavoro, da parte di persone disoccupate e/o inoccupate, di cui 60 negli ultimi 5 mesi. Per ognuno viene creato un percorso basato su contatto, dialogo e accoglienza; ma anche confronto e valutazione delle possibilità di invio del nominativo alle aziende convenzionate.
Ora abbiamo bisogno del tuo aiuto. Le risorse del Fondo sono quasi esaurite, ma vogliamo continuare con il lavoro. Puoi fare una donazione all’IBAN che trovi in fondo all’articolo, per permettere a tante persone di ricevere il supporto necessario.
Beatrice, riminese, descrive il suo tirocinio come “una vera salvezza”. È ausiliaria presso una struttura dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, spesso a contatto con la disabilità e marginalità.
“Ho capito che il posto di lavoro è uno spazio dove poter anche raccontare di me, chiedere una mano. Per più di 20 anni ho mantenuto separate la vita lavorativa da quella personale, ma nei momenti più difficili non ce l’ho fatta più. In questi due anni ho imparato ad essere una persona, non solo una lavoratrice.”
Il Fondo per il Lavoro l’ha aiutata a riscrivere il curriculum ed aprirsi a nuove possibilità.
“Mi piacerebbe fare il corso da OSA (Operatore Socio Assistenziale) e continuare a lavorare nel socio-sanitario. Chiara è stata la mia super tutor, mi ha seguito in maniera precisa. Sono davvero riconoscente.”
Ha un bagaglio personale di esperienze ricco che desidera mettere a frutto, grazie al lavoro del Fondo ha creduto in sé stessa e mosso i passi verso l’autonomia. “Sogno un contratto a tempo indeterminato, ma confido che arriverà. Cerco di fare le cose al meglio, per fortuna non sono più sola.”
L’attività del Fondo si è fin da subito dimostrata significativa: in 8 anni sono stati attivati oltre 70 tirocini, dei quali circa la metà sono diventati contratti di lavoro stabili.
A questi si sommano 68 contratti a tempo indeterminato e 107 a tempo determinato. Numeri che dimostrano quanto sia importante costruire reti e collaborazioni per dare risposte sinergiche sia tra privati che con il pubblico e le istituzioni.
In questi anni abbiamo creato una rete di imprese sul territorio che va proprio in questa direzione: creare un ponte solido con chi investe sul territorio. Fanno parte di questa rete più di 140 imprese, che hanno già inserito almeno una persona nel proprio organico.
Le aziende che sottoscrivono la convenzione con il Fondo per il Lavoro danno testimonianza che il lavoro può essere un percorso in cui la persona può costruire la sua dimensione a beneficio dell’intero sistema che vi ruota attorno.
Jacinto viene dalla Spagna, ma ha vissuto diversi anni in Francia.
“Sono arrivato in Italia ormai 30 anni fa, per amore di una ragazza romana. Oggi ho un impiego presso un’azienda di Tavullia grazie al Fondo per il Lavoro. Mi occupo dell’assemblaggio di quadri elettrici”.
Ha 58 anni e a Settembre 2021 ha avuto un ictus improvviso che lo ha bloccato in casa per più di 6 mesi. “Mi hanno aiutato gli amici, da solo non ce la fai in quei momenti. Ma non ho avuto timore di chiedere una mano.” Abita nel piccolo borgo di Montegridolfo, in Valconca, in una casa con quasi due ettari di terra che coltiva con passione. “Non ho mai visto Valentino Rossi, anche se l’azienda presso la quale lavoro è proprio dietro l’accademia VR46. Magari un giorno riuscirò a stringergli la mano.”
Il Fondo per il Lavoro dimostra – in maniera collaterale – che la risoluzione di una situazione di fragilità comporta meno necessità di sostegno da parte del settore pubblico e, quindi, una spesa pro capite di servizi inferiore.
Cosa puoi fare tu?
Fai conoscere la rete!
Trovi più informazioni su www.fondoperillavoro.ite su www.caritas.rimini.it
Il lavoro del fondo è possibile grazie alle donazioni.
Se puoi, dona ora tramite bonifico: » Caritas Rimini ODV
IBAN IT47S 06230 24206 000043223695